mercoledì 19 settembre 2012

Le notizie impossibili di Carlo Lizzani

 


Nel volume "Carlo Lizzani. Cinema, storia e storia del cinema" a cura di Gualtiero De Santi e Bernardo Valli (Liguori Editore, 2007), viene analzzato l'interesse del regista, sceneggiatore e critico cinematografico italiano per i soggetti storici e sopratutto per gli episodi più recenti della storia italiana (v. Il processo di Verona, del 1963Mussolini ultimo atto, del 1974; Le cinque giornate di Milano, del 2004, per la televisione)
I suoi film e documentari sono sempre rivolti ad un pubblico ampio, come sottolinea Gianfranco Miro Gori ("Lizzani e la storia" in "Carlo Lizzani. Cinema, storia e storia del cinema", p. 37 ss.), pertanto Lizzani è attento anche ai nuovi linguaggi del cinema e della televisione, e non si sottrae alla sperimentazione. E' il caso di alcuni progetti, mai realizzati, che sono stati pubblicati in fondo al volume già citato. Tra questi una serie di sketch televisivi, intitolati: "Le grandi inchieste di Teleuniverso", in cui il regista inventa un telegiornale moderno che annuncia notizie vecchie di migliaia e migliaia di anni, adattandole alla cultura e alla mentalità dei nostri giorni. Ne scaturisce un programma surreale ma divertente che, nel confronto diretto ma insolito con le storie della Genesi, ci aiuta a comprendere anche il "senso del ridicolo" della nostra quotidianità. Riporto qui solo il primo esempio della sceneggiatura:

L'ambientazione: uno studio televisivo modernissimo, con monitor e schermi per i collegamenti con l'esterno.

Speaker: Licenziati per il furto di una mela. Due giovani, Adamo C. e Eva F., sorpresi mentre, forse stremati dalla fame, si nutrivano facendo ricorso all'espediente più banale: il furto di una mela, sono stati ieri licenziati in tronco da un padrone che evidentemente non ha il senso del ridicolo. Dopo il bambino multato per aver morso un cioccolatino senza essersi munito del regolare scontrino, dopo la signora multata per aver usufruito dei servizi del figlio parrucchiere senza aver versato il normale compenso, era inevitabile il ripetersi di un evento da manuale come quello della mela. Anche i sociologi più conservatori e i giuristi più tradizionalisti da secoli mettono in guardia i tutori dell'ordine contro questa caccia miope al piccolo trasgressore a scapito di un vero, serio impegno per la repressione del crimine organizzato...

I titoli di alcuni "fondi": 
"Il rovescio della medaglia" di Norberto Bobbio, "Il senso del ridicolo" di Giorgio Bocca, "Società del benessere e società del malessere", di Edgar Morin.

La protesta dei sindacati: forse lo sciopero dei raccoglitori di frutta.

Poi dibattito in sala con alcuni esperti, e collegamenti con l'esterno, anche dal vero, davanti a scuole, nei mercati, ecc. Con risultati sicuramente sorprendenti data la stranezza delle domande poste a bruciapelo, su Eva, Adamo, ecc.

Archeologia e letteratura: i libri gialli

Questo post è tratto dal capitolo "Il detective e l'archeologo" dell'Enciclopedia "I segreti dell'Archeologia", a cura di G. M. Della Fina, De Agostini 2001, pp. 196-197

 

Quando C. W. Ceram, nel suo "romanzo dell'archeologia" Civiltà sepolte, paragonava il lavoro dell'archeologo a quello della polizia scientifica, il genere letterario del giallo si era già da tempo appropriato dei metodi dell'archeologia, con la conseguenza che confrontare le indagini di uno studioso dell'antichità con quelle di un investigatore privato era divenuto già quasi un luogo comune.
L'archeologo e il detective si trovano davanti a un fatto ignoto e cercano, in base alle tracce, di ricostruire il passato: l'uno magari di duemila anni fa, l'altro solo di due giorni prima.
Uno dei primi scrittori a prendere spunto dall'archeologia per le ricerche criminologiche del suo detective fu l'inglese Wilkie Collins, che nel giallo The Law and the Lady del 1875 fece scervellare a lungo l'investigatore finché questi non si ricordò degli scavi di Pompei: per trovare una lettera compromettente, il protagonista si ispirò agli scavi sistematici effettuati nelle fosse dei rifiuti della città vesuviana, che avevano portato alla luce materiali importanti per la ricostruzione della vita quotidiana, ed ecco che il pezzo mancante per risolvere il caso si trovò proprio nella spazzatura domestica dell'incriminato.
L'allusione all'archeologia non poteva essere più chiara, ma non era neanche necessario, come mostrano gli altri romanzi di Collins e dei suoi contemporanei: ciò che contava, e quello che fa di Wilkie Collins uno dei più grandi rappresentanti della giallistica, era innanzitutto il metodo, la ricerca sistematica, l'analisi puntuale di tutti i dettagli, anche di quelli più insignificanti, i quali, una volta messi insieme, conducevano alla soluzione.
Anche i più grandi detective di tutti i tempi - Sherlock Holmes, Hercule Poirot - hanno spesso contatti con il mondo dell'archeologia. Nel Mastino dei Baskerville, Arthur Conan Doyle immagina nel paesaggio intorno a Baskerville Hall un antico villaggio preistorico aumentando il presunto mistero soprannaturale che circonda il luogo e che solo Sherlock Holmes, con le sue deduzioni razionali, risulta in grado di comprendere: "Erano le abitazioni dei nostri rispettabili antenati. La brughiera era densamente abitata dall'uomo preistorico e poiché d'allora nessuno si è stabilito qui, troviamo ogni particolare intatto, esattamente come allora. (...) Quando era abitata? - Neolitico, senza una data precisa". 
 
Nell'occasione, Doyle descrisse anche un altro personaggio, il dottor Mortimer, che nel tempo libero aveva "scavato in un vecchio tumulo a Long Down e portato alla luce con grande gioia un teschio preistorico"; un archeologo dilettante, dunque, che nel romanzo ha il ruolo importante di convincere Holmes a occuparsi dello straordinario caso. Lo stesso Watson rimase impressionato dal passatempo del medico: - "Non ho mai visto un uomo così sinceramente entusiasta come lui!".
Le affinità tra il lavoro dell'archeologo e del detective erano, dunque, piuttosto chiare e venivano sfruttate spesso, con allusioni più o meno dirette, dagli scrittori. Ma furono pochissimi i tentativi, nei gialli, di affidare il ruolo di protagonisti a veri e propri archeologi. La ragione va forse cercata nella complessità del lavoro archeologico, che presuppone conoscenze troppo dettagliate e specializzate per creare una trama avvincente. Gli esempi di questo tipo, infatti, non convincono quasi mai perché lo scrittore trascura le tecniche archeologiche per mancanza di competenze - come nel caso del detective-archeologo Martin Cotterell di John Trench - o perché non è all'altezza di una trama appassionante, come nei gialli dell'archeologo Dilwyn Rees.

La signora del crimine

Non a caso l'unica unione felice si trova ancora oggi nei libri di Agatha Christie. Già prima di sposare l'archeologo Max Mallowan, la Christie era rimasta profondamente suggestionata dalle notizie sensazionali provenienti dalle scienze dell'antichità e non tardò a rielaborarle nei suoi affascinanti libri.
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Agatha Christie con il marito Max Mallowan, autorevole archeologo britannico

Nel 1924, la scrittrice pubblicò il racconto "L'avventura della tomba egiziana", che trae spunto dalla spettacolare apertura della tomba di Tutankhamon avvenuta nel febbraio del 1923 e dalla misteriosa morte del suo scopritore, Lord Carnarvon, avvenuta nell'aprile dello stesso anno. In seguito, la Christie affidò alla penna le esperienze vissute nel Vicino Oriente e, soprattutto, negli emozionanti scavi diretti da suo marito e a cui lei stessa prese parte: i suoi libri traggono ancor oggi il loro maggior fascino da questo mondo avventuroso, decisamente fuori dal comune. Spesso compare anche un archeologo - in Murder in Mesopotamia (Non c'è più scampo) del 1936 la trama ruota tutta attorno a uno scavo archeologico - ma per la scrittrice è sempre un outsider, né elegante né distinto d'aspetto, si comporta in maniera piuttosto rozza, cosa che scandalizzerebbe il mondo borghese e conformista se non ci fosse il prestigio e l'approvazione sociale di cui gode grazie ai suoi studi. Indicativa in proposito è la descrizione del bagaglio di Richard Baker in viaggio verso gli scavi dell'antica città di Murik, ne Il mondo è in pericolo, che viene descritto nella seguente maniera: "Consisteva quasi interamente di libri. Pigiama e camicie erano stati buttati alla rinfusa tra di essi, quasi come per un ripensamento". Egli, d'altronde, "di rado s'interessava ai rappresentanti della specie umana. Un coccio facente parte di un vaso antico lo eccitava assai più di un semplice essere umano nato nel corso del ventesimo secolo dopo Cristo".
Allo stesso modo, in Death on the Nile (Poirot sul Nilo), la Christie introduceva "Guido Richetti, l'archeologo, uomo piuttosto grassoccio", il quale non tollerava che si parlasse male delle antichità e in un'occasione "proruppe in un'appassionata e non sempre conprensibile difesa delle pietre".
Durante una gita turistica a Karnak, "l'archeologo Richetti, sdegnando le spiegazioni dell'interprete, esaminava i bassorilievi ai piedi delle enormi statue", mentre Hercule Poirot con il resto del gruppo ammirava il grande tempio costruito da Ramesse, dove "i quattro colossi rappresentanti lo stesso ramesse guardavano dall'alto della loro statura il gruppetto di minuscoli curiosi". Il famoso detective non si lasciò comunque ingannare dall'apparenza e ben presto svelò la vera identità dell'impostore che era, in verità, un ricercato terrorista: "Mi è sempre parso che ci fosse qualcosa di poco chiaro, in lui. Era troppo perfetto, nella sua parte, troppo archeologo e troppo poco uomo".
Come si è già accennato, Agatha Christie conosceva veramente bene il mondo degli archeologi attraverso il marito, un autorevole studioso consapevole dell'importanza dello scavo stratigrafico per la ricostruzione della vita quotidiana delle civiltà antiche. La Christie aveva conosciuto il futuro marito proprio durante una visita a uno scavo archeologico, e dopo il matrimonio cominciò ad interessarsi in modo serio all'archeologia, partecipando attivamente alle spedizioni.
Agatha Christie in visita agli scavi di Nippur, Iraq

Quasi autobiografico è il passo tratto da Il mondo è in pericolo, nel quale la protagonista arriva per caso su uno scavo e viene scambiata per la giovane antropologa attesa: "Le ceste di frammenti di vasi in un primo momento l'avevano fatta ridere (sebbene si fosse ben guardata dal darlo a vedere). Tutti quei pezzetti di scabra terracotta (...) a cosa mai servivano! Poi, quando cominciò a ricongiungerli e a sistemarli in cassette piene di sabbia, il suo interesse si risvegliò. Imparò a riconoscere le forme e persino le epoche. E infine cominciò a ricostruire nella sua mente l'uso a cui erano stati adibiti quei recipienti circa tremila anni prima. Nella piccola zona in cui erano stati trovati i resti di abitazioni private di livello modesto, Victoria si figurò le case nella loro forma originaria, e le persone che in esse avevano abitato, i loro bisogni, gli oggetti di cui disponevano e le loro occupazioni, le loro speranze e i loro timori. E grazie alla sua fervida immaginazione, la sua mente si popolava facilmente di immagini. Un giorno in cui venne ritrovato, al'interno di un muro, un piccolo vaso di terracotta pieni di orecchini d'oro, Victoria rimase incantata". E come l'eroina Victoria, anche Agatha Christie divenne archeologa; davanti ai suoi occhi il passato risorse ed ella si adattò alla realtà quotidiana dello studioso, notando con stupore: "Vede, io avevo sempre pensato che l'archeologia riguardasse solo tombe di re e palazzi". E questa verità comunicò a noi lettori, in una maniera divertente e affascinante.

mercoledì 5 settembre 2012

XXIII Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico


Museo Civico di Rovereto, 1-6 ottobre 2012



A distanza di ventidue anni dalla prima edizione, anche quest'anno il Museo Civico di Rovereto ospiterà la Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico, un appuntamento irrinunciabile per tutti gli appassionati del genere e per gli studiosi. La Rassegna, diretta da Dario Di Blasi, Conservatore Onorario presso il Museo Civico di Rovereto, prevede un ricco calendario di appuntamenti e di proiezioni, con la cerimonia di premiazione finale in diretta televisiva. Le proiezioni, ad ingresso libero, si svolgeranno presso l'Auditorium del Polo Culturale e Museale "Fausto Melotti ". I film e i documentari in programma sono 100 (inclusa la Sezione speciale Archeologia e Società): si inizierà lunedì 1 ottobre, a partire dalle 15.00, con il documentario tedesco La civilisation horizontale, regia di Bettina Hutschek. A seguire, On the trail of primitive life (the Cambrian Period), film spagnolo diretto da José Ángel Delgado. Sempre nella giornata di lunedì si proietteranno: La fabuleuse histoire de la tête maori du Museum de Rouen del regista francese Philippe Tourancheau, lo spagnolo Ekainberri, nuevo cobijo per la regia di Jose Luis Castro Montoya. Alle 17.00 seguirà la presentazione e inaugurazione della XXIII Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico, cui seguirà la proiezione di In coemeterio. Reconstrucció d'un funeral cristià al s. V d.C. del regista spagnolo Andreu Muñoz Melgar. Nella serata, a partire dalle 20,45, si potrà assistere alla proiezioni di: Basque whalers. The tale of the last whaleboat, regia di Jon Maia, Spagna; Atlas of the two Seas, coproduzione di Inghilterra, Francia, Belgio, regia di Michael Pitts; Looting the Holy Land, palestinese, diretto da Mariam Shahin.
La seconda giornata si aprirà alle 10.00 con la proiezione dei seguenti film: il francese Des dinos sous les vignes diretto da Claude Delhaye; Les murailles du Caire, Francia, regia di Alain Lecler; Sur les traces de Tintin. Les cigares du Pharaon, Francia, regia di Marc Temmerman; l'italiano Erice Afrodite e sacro "Munti" diretto da Stefano Vinciguerra; il giordano Deep time in Tall Hisban, regia di Paul Reid;
Arte libre, Spagna, regia di Victor Cid Gonzalez; Making a reconstruction Bronze Age pot, Inghilterra, regia di Kerenza Townsend e Mike Nendick. Nel pomeriggio si inizierà alle 15.00 con lo spagnolo La presa, regia di Jorge Rivero; Tomb 33, an egyptian mystery, Francia, regia di Thomas Weidenbach; l'italiano Il santuario di Ercole Vincitore a Tivoli, regia di Sergio Riccardi; The eagles of Alexandria, Egitto, regia di Raymond Collet; Sciamani e antenati. Le due Yurte, Italia, regia di Sergio Poggianella; The celtic legacy, Spagna, regia di José Manuel Novoa; Les dieux sont à vendre (Gods for sale), Belgio, regia di Michel Brent. Nella serata, a partire dalle 20.45 si proietteranno il film di coproduzione israeliana, canadese e statunitense Inside Jerusalem: identity and the ancient past, regia di Peter Hagyo-Kovacs; lo statunitense The Caryatid hairstyling project, regia di Katherine A. Schwab; Brand und neue Blüte, Germania, regia di Elli Gabriele Kriesch.
La terza giornata di mercoled 3 ottobre si apre con il francese Sur les traces de Tintin. Le temple du Soleil, regia di Henri De Gerlache; a seguire Aux origines de la Corse chrétienne, les églises oubliées de Propriano, Francia, regia di Virginie Berda; gli italiani Il Vaso François: il mito dipinto, regia di Franco Viviani, e Le avventure di Pizzinnina, regia di Gabriele Giuliani e di Sergio Cavaliere; quindi il francese Légères perturbations en Centre-Gaule, regia di Pénélope de Bozzi, Matthieu Lemarié e Stéphane Corréa; Caesaraugusta: el Foro, y la Casa del Fauno, Spagna, regia di Alfonso Sánchez Calvo; Mozia terra fenicia, Italia, regia di Antonio Lesi. Nel pomeriggio si potranno visionare i filmati El cobre de los Vascos (Euskaldunen Kobrea), Spagna, regia di Giorgio Studer; lo svedese Järnålder - Iron Age, regia di Daniel af Wåhlberg; il francese En Ethiopie, sur les traces des premiers chrétiens, regia di Jean-Louis Saporito; Quand les Gaulois perdaient la tête, Francia, regia di David Geoffroy; Pagine di pietra. I Dauni tra VII e VI sec. a.C., Italia, regia di Franco Viviani.
Al termine delle proiezioni, alle 17,30 è in programma una conversazione di Maria Ausilia Fadda, archeologa, già direttore archeologo della Soprintendenza archeologico di Sassari e Nuoro e direttore del Museo Nazionale di Nuoro, sul tema: Nella Sardegna del XII-VII sec. a.C. principi sacerdoti gestivano un vasto traffico di prodotti metallurgici coniugando tecnologia, ideologie religiose e potere economico.
In serata, dalle 20,45, continueranno le proiezioni con: Secrets of Stonehenge, USA, regia di Gail Willumsen; APA alla scoperta di Bologna, Italia, regia di Giosue Boetto; Expedition Höllenloch - Zur Wiege der Menschheit, Germania, regia di Tamara Spitzing.
Giovedì 4 ottobre mattina si inizia con lo svizzero L'ultima cena di Ötzi, regia di Lucio Rosa e Peter Lorenzi; quindi il greco Witness the past, regia di Angelo Andrikopoulou e Argyris Tsepelikas; Tebtynis, une ville retrouvé, Francia, regia di Alain Lecler; Augusta Bagiennorum, la città dei veterani di Augusto, Italia, regia di Mauro Ferrero; 5 meters under Zürich, Svizzera, regiadi Flavio Cardellicchio (Giò Carde); Praesidium, templum et Ecclesia 2011, Spagna, regia di Josep Maria Macias, Andreu Muñoz e lmma Teixell; Kobenkoba, centro de interpretación del arte paleolítico europeo, Spagna, regia di Alfonso Sánchez Calvo. Nel pomeriggio, dalle 15.00 si susseguiranno le proiezioni di Woman in ancient aegean coast, Turchia, regia di Hülya Önal; La route des amphores. Une histoire de la conquete des Gaules, Francia, regia di Nicolas Jouvin; Archévitis, Italia, regia di Nereo Pederzolli; Sirius, Germania regia di Alan J. Bullock; Bacchino e Vulpecula, Italia, regia di S. Riccardi e A. Petricelli. 
Alle 17,.30 si potrà seguire la Conversazione di Attilio Scienza, presidente del corso di laurea in Viticultura ed Enologia, Università di Milano, sul tema L'origine dei vitigni coltivati tra mito e storia. 
Nella serata dello stesso giorno si continuerà con le proiezioni a cominciare da Con gli occhi di un pellegrino medievale - La via romanica delle Alpi, Italia, regia di Lucio Rosa; Diolkos for 1500 years, Grecia, regia di T.P. Tassios; Tunnel to a lost world, USA, regia: Philip J Day.
La penultima giornata della Rassegna si apre alle 10.00 con il film francese Douch Ayn Manawir, oasis de Kharga, regia di Alain Lecler; Das Ende der alten Götter, Germania, regia di Elli Gabriele Kriesch; Il santuario di Giove Anxur a Terracina, Italia, regia di Francesco Gabellone; Appia tra la luna e i falò. Incontri con la storia, Italia, regia di Roberto Renna e Massimo Franchi. Nel pomeriggio si assisterà alla proiezione di Nasca lines the buried secrets, USA, regia di Philip J Day; The 2000 year-old computer, Regno Unito, regia di Mike Beckham; Lost cities of the Amazon, USA, regia di Philip J Day.
Alle 17.50 Giuseppe Orefici, archeologo, responsabile per la Missione Archeologica degli scavi di Nasca - Perú, ci illustrerà il tema Civiltà "sepolte" dalla giungla amazzonica.
In serata si potrà seguire "Scienza e tecnica e Mondo Antico", indagini, interviste e considerazioni con personalità, immagini e video condotti da Piero Badaloni in diretta su multipiattaforma televisiva nazionale e internazionale.
La giornata conclusiva, sabato 6 ottobre, dalle 10.00, saranno proiettati gli ultimi film: 212 a.C. - 2012 "Il Console Marco Claudio Marcello alla conquista di Siracusa". L'assedio di Eloro, Leontinoi, Megara, Italia, regia di Agostino De Angelis; Das Bronzekartell: Wirtschaftsboom am Mittelmeer, Germania, regia di Franz Leopold Schmelzer e Gerhard J. Rekel.
Alle 11.15 Massimo Vidale, archeologo con missioni di scavo in Iraq e Pakistan, docente di Archeologia delle Produzioni, Università di Padova, parlerà sul tema: Valle dello Swat-Pakistan, Dhiqar-Nassiria-Iraq: archeologia del dopoguerra.
Nel pomeriggio di sabato, dalle 15.00, le proiezioni di L'Amigdala dimenticata, Italia, regia di Agostino La Torre; Viaggio tra i Nilo-Camiti, pastori della Savana africana, Italia, regia di Alfredo e Angelo Castiglioni; Paestum: verso una manutenzione programmata, Italia, regia di Giuseppe Casu; Die Wiederkehr des Pharao, Germania, regia di Bertram Verhaag; The Parthenon Project, USA, regia di Jenifer Neils.
Alle 17.30 la Conversazione sul tema Il tempio G di Selinunte: nuove ricerche. Selinunte perla preziosa del patrimonio culturale siciliano: fascino e suggestioni cui parteciperanno Mario Luni, archeologo, docente di Archeologia greca e romana, Univ. di Urbino, Caterina Greco, direttore del Parco Archeologico di Selinunte e Cave di Cusa, Valerio Massimo Manfredi, archeologo e scrittore, e Nicola Bonacasa, docente di Archeologia e Storia dell'arte greca e romana, Univ. di Palermo.
In serata, a partire dalle 21.00, dopo la proiezione del film italiano Pompei, diretto da Massimo My, si svolgerà la cerimonia di premiazione del film più gradito al pubblico, cui sarà assegnato il premio "Città di Rovereto-Archeologia Viva". Seguirà la proiezione del cortometraggio premiato nel concorso nazionale "Archeo-Ciak" (concorso indetto dall'Ente Parco della Valle dei Templi di Agrigento in collaborazione con Rassegna e Archeologia Viva).

Museo Civico
Borgo Santa Caterina, 43
I-38068 Rovereto (Trento)
tel +39 0464 452820 (numero diretto)
fax +39 0464 439487


Altre informazioni sul sito www.museocivico.rovereto.tn.it

martedì 4 settembre 2012

Intervista a Sabatino Moscati; archeologia e tecnologie digitali

 


Riporto qui un'intervista a Sabatino Moscati del 22 aprile 1996, pubblicata nella Biblioteca digitale del sito MediaMente.it (Rai Educational).

Archeologo esperto della cultura punica e fenice, Sabatino Moscati è stato un divulgatore della nuova conoscenza al grande pubblico. Nato a Roma nel 1923, Moscati scoperse la città punica di Monte Sirai in Sardegna, oltre che una serie di fortezze dell'epoca punica in Tunisia, in Sicilia ed in altre regioni del bacino mediterraneo. Prima dell'impegno di Moscati la conoscenza della civilizzazione punica del secondo e terzo secolo avanti Cristo era in gran parte messa in ombra dalle opere sulla civilizzazione romana ed etrusca.
Membro e poi presidente della prestigiosa Accademia dei Lincei, Moscati era un convinto sostenitore della divulgazione della scienza. Nel 1985 fondò Archeo, mensile mirato alla facile comprensione dell'archeologia, per il quale scriveva regolarmente l'editoriale. Ha pubblicato una serie di articoli nel Corriere della Sera. Sabatino Moscati è morto a Roma l'otto settembre 1997 all'età di 74 anni. 





Non è impressionante poter ricostruire il volto di uomini del passato attraverso le tecnologie digitali?

Sì, è impressionante rivedere il volto degli uomini del passato. Ma quel che più importa è l'esattezza della ricostruzione. In realtà il principio su cui si basa questa ricostruzione è abbastanza semplice, nel senso che esiste una corrispondenza, medicalmente provata, tra le parti dure e le parti molli del viso. Sicché, se si ha un cranio ben conservato, è possibile ricostruire quanto rimane del volto. Naturalmente l'interesse di questa ricostruzione concerne soprattutto i personaggi celebri. Così è stato, per esempio, nel caso di Filippo II di Macedonia, di cui si è trovata la tomba in Grecia: in essa è stato trovata una salma che, senza ombra di dubbio, è lui. Con questo metodo si è ricostruito il volto e questo viso è risultato identico sia alle raffigurazioni che abbiamo di lui, soprattutto nelle monete, sia ai racconti degli antichi storici. E' stato possibile anche riscontrare la veridicità della notizia, tramandataci dagli storici antichi, di una cicatrice sul viso a seguito di un colpo di arma da taglio: questa cicatrice, che aveva inciso sull'osso, è riemersa nella ricostruzione.
E' molto diffusa anche la ricostruzione di ambienti architettonici e di siti archeologici. Per quanto riguarda quest'ultimo aspetto, in che cosa ci può aiutare la realtà virtuale?
 
La ricostruzione virtuale dei monumenti ha naturalmente funzione di conoscenza, ma soprattutto didattica. Il monumento ricostruito virtualmente, infatti, può essere studiato nella sua totalità anche se è conservato nella sua parzialità. Naturalmente la ricostruzione è subordinata a quanto se ne conserva. Non è possibile restituire virtualmente l'integrità di tutti i monumenti. Anche qui la precisione è totale, perché esistono delle corrispondenze tecniche tra le parti conservate e le parti decadute o scomparse e anche qui esistono le narrazioni degli antichi storici o delle fonti letterarie. Tuttavia va sottolineato il fatto che manca una componente fondamentale, cioè l'uomo che si muove negli ambienti.
Quindi Lei concorda con le tesi di Gardin, l'archeologo francese, che ha delineato un'epistemologia generale dell'informatica umanistica, ritenendo possibile costituire una nuova epistemologia intorno all'archeologia?
 
Gardin è un vero e proprio genio dell'informatica e, soprattutto, è l'unico che l'abbia applicata, con metodi avanzatissimi e con esperienze dirette sul campo, all'archeologia. In sintesi, si può dire che l'avvento dell'informatica costituisce il passaggio dalla approssimazione all'esattezza. Questa è la grande novità dell'informatica. Noi ricostruivamo i monumenti del passato, i reperti, gli oggetti, gli ambienti, sempre con qualche "forse" e qualche "probabilmente". Oggi abbiamo la possibilità, in tempo reale, di avere dei dati di una precisione straordinaria. Vorrei dire di più: è l'archeologia che cambia. E' nata come scienza storica, come una scienza che esplora il passato per ricostruirne la vita, le vicende; ora è diventata una scienza di frontiera, a metà strada tra l'umanesimo e la tecnologia, con i metodi delle scienze esatte. L'immagine dell'archeologo che scavava da solo, che andava avventurosamente sui luoghi appartiene, ormai, ad una visione romantica di questa disciplina. Oggi il lavoro è svolto da "équipe" tecniche, in cui sono presenti le varie specializzazioni. Non credo che esista una scienza di frontiera, al convergere dell'umanesimo e della tecnologia, come è attualmente quella archeologica. L'informatica, comunque, rappresenta un grande salto di qualità in ogni campo della ricerca scientifica.
Lei ritiene che tutto questo potrà offrire nuove opportunità di lavoro agli archeologi o, comunque, a chi lavora nel campo della ricerca umanistica?
 
Dovrebbe offrirle. Naturalmente il problema dell'opportunità di lavoro, è un problema più vasto e dipende dai Paesi, dalla loro condizione, dalle loro prospettive. Sicuramente si tratta di una scienza nuova; la varietà delle sue implicazioni, la complessità, l'originalità possono effettivamente rappresentare dei nuovi sbocchi professionali e di specializzazione. In alcuni Paesi ci sono più mezzi. In Italia, negli ultimi tempi, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, mantenendo fede alla sua stessa natura, ha avviato, avvia e sostiene, una serie di imprese dalle varie componenti umanistiche e scientifiche: tra queste c'è anche l'archeologia.
Qual è, in sostanza, la Sua opinione su questa nuova, inedita alleanza tra cultura scientifica e tecnologica e cultura umanistica, soprattutto nel campo dell'informatica, dove è sempre più evidente questa convergenza?
 
Anzi tutto vorrei dire che l'informatica rappresenta e determina in modo del tutto naturale e ovvio questa convergenza, dal momento che l'informatica è un metodo di approccio alla ricerca applicabile a tutte le discipline. Nello specifico, la convergenza tra umanesimo e tecnologia è un segno del nostro tempo. L'Accademia dei Lincei ne è un'antesignana, come è dimostrabile attraverso una serie di iniziative sempre più congiunte tra le due classi dell'Accademia. E così sarà la scienza del futuro: sempre più interrelata di pari passo con l'aumento delle specializzazioni; in altre parole, convergeranno sempre più le prospettive, le metodologie. In realtà umanesimo e tecnologia sono due facce di una realtà unica, ossia la ricerca scientifica.
Lei pensa anche che una rete come Internet possa giovare alla diffusione della conoscenza e non essere soltanto un circuito di mero intrattenimento? Per quanto riguarda l'archeologia, secondo Lei Internet può rappresentare un veicolo in più a disposizione soprattutto dei giovani ricercatori che, in genere, trovano difficoltà nel reperire spazio sulle riviste specializzate?
 
Innanzi tutto, ritengo che, probabilmente, la società non si è ancora resa conto di questa rivoluzione che si sta svolgendo sotto i propri occhi: informare significa conoscere, vale a dire ottenere in tempo reale quelle informazioni che, fino a poco tempo fa, si chiedevano per lettera e arrivavano limitate e imperfette. Siamo in un momento di snodo, di svolta, della ricerca scientifica, perché le tecnologie ci hanno sopravanzato e le stiamo inseguendo per ricostituire un equilibrio. In effetti la comunicazione del sapere e dei risultati della ricerca sta assumendo un ritmo talmente vertiginoso che, torno a dire, ancora non ci rendiamo conto di questo, ma è un momento di trasformazione profonda verso un futuro che sarà, senza dubbio, diverso e migliore. Resta il problema dell'utilizzo delle forze umane e della sistemazione dei mezzi per vivere di coloro che partecipano alla ricerca, un problema grave, particolarmente nel nostro Paese.

domenica 2 settembre 2012

La televisione didattica di Roberto Rossellini



di Caterina Pisu


Roberto Rossellini, il maestro del cinema neorealista, fu senza dubbio un anticipatore dei tempi in tema di divulgazione della storia. Secondo alcuni egli fu innanzitutto "un grande documentarista che a fatica si è inserito all'interno del cinema a soggetto portandosi ostinatamente dietro gli straordinari strumenti che aveva sviluppato per inseguire quella originaria vocazione" (v. "Carlo Lizzani. Cinema, storia e storia del cinema", a cura di G. De Santi, B. Valli, De Liguori Editore 2007, p. 21). Questa sua passione iniziale si concretizza nell'ultima parte della sua carriera, negli anni Sessanta e Settanta, quando scopre lo strumento televisivo come "risorsa tecnologica e linguistica nuova" (De Santi 2007, p. 22)
e inizia a lavorare per la televisione italiana e francese. Essendo uno sperimentatore, egli trova nel documentario una possibilità di espressione che lo attrae e che gli consente di divulgare temi culturali presso il pubblico di massa, dando vita a una sua idea, del tutto originale, di "televisione didattica". Rossellini voleva "che il cinema servisse come mezzo di conoscenza, che avesse un valore culturale, che fosse un’apertura della coscienza" e questo fu l'obiettivo di tutta la sua lunga carriera.
Scrive Edoardo Bruno nell'Enciclopedia del Cinema Treccani: "(...) Come egli stesso avrebbe insegnato agli allievi dell'Università di Houston in una serie di lezioni tenute in qualità di visiting professor, per mettere in crisi lo stesso sapere con un altro sapere, per trasformare "il divertimento in conoscenza", bisogna porsi il problema della popolarità, non come comodo alibi ma in quanto traguardo da conquistare. Di queste idee fu anzitutto testimonianza la serie dei documentari televisivi L'Età del Ferro (1964), realizzata in varie puntate dal figlio Renzo (nato dalla prima moglie, la costumista Marcella De Marchis) su soggetto, sceneggiatura e supervisione di R., contributo a questo suo modo di considerare la Storia come un continuo cammino dell'uomo, partendo da un nucleo unitario ‒ la Toscana, l'Etruria ‒ dall'Età del Ferro sino alla cronaca dei nostri giorni". (Enciclopedia del Cinema (2004), voce "Rossellini Roberto" di Edoardo Bruno). Anche nella sua produzione cinematografica più tarda il regista si mostrò spesso interessato ai temi storici. Ricordiamo: Il Messia (1975), Gli atti degli Apostoli (1968), Socrate (1970), Pascal (1971), Cartesius (1974), La prise de pouvoir par Louis XIV, Viva l'Italia!, Anno uno (1974).
Per tornare, però, alla sua produzione per la televisione, analizzando in particolare L'Età del Ferro, documentario trasmesso sul secondo canale dalla RAI nel 1965, e La lotta dell'uomo per la sua sopravvivenza, altro documentario TV in dodici episodi, del 1970, se in entrambi i casi Rossellini non compare come regista, il suo stile è comunque inconfondibile. In questi filmati lo si può vedere nel ruolo di narratore perché "l'iconografia della televisione culturale non lo spaventa" ("I film di Roberto Rossellini" di S. Masi, E. Lancia, Gremese Editore, 1987, p. 100) ma, anzi, è convinto dell'importanza del ruolo didattico che questa può svolgere a favore di tutta la società. Rossellini non fa un tentativo di selezione degli argomenti ma concentra tanti spunti di racconto e di riflessione in questi documentari, operando una sorta di collage che include brani di documentario e di recitazione ("I film di Roberto Rossellini" di S. Masi, E. Lancia, Gremese Editore, 1987, p . 100). Un progetto enciclopedico ambizioso che, forse per questa sua pretesa di completezza, non fu molto apprezzato dalla critica del tempo che gli rimproverò un eccesso di semplificazione. L'opera documentaristica di Rossellini resta comunque una tappa importante della sua carriera ed ha certamente influenzato la televisione culturale e scientifica divulgativa dei nostri giorni. 

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Archeologia e cinema



L'interesse del cinema per il mondo antico non nasce direttamente dall'archeologia, bensì dai romanzi storici e d'avventura, un genere di moda tra la fine dell'Ottocento e la prima metà del Novecento. Quasi che ci fosse, da parte dei cineasti, la necessità di un filtro per offrire a un pubblico vasto una realtà lontana e non presente nel bagaglio di conoscenze dello spettatore comune, che decreta il successo o l'insuccesso commerciale di un film.

I primi colossal

Il primo tentativo cinematografico fu la versione muta di Ben Hur, realizzata nel 1907 dal regista Sidney Olcott: fu anche la prima sceneggiatura di un certo peso tratta da un romanzo. Nell'era del muto seguirono non pochi film, sia di Hollywood sia di produzione italiana: tra i colossal americani va ricordato in primo luogo il grandioso Intolerance di David W. Griffith, del 1916, ambientato in diversi scenari del mondo antico. L'Italia non fu da meno e realizzò produzioni grandiose come la prima versione di Quo Vadis, del 1913, con ben 5000 comparse, e Cabiria, del 1914, al quale collaborò Gabriele D'Annunzio. A essere privilegiati erano in genere i temi greci e romani; ma anche Cartagine, Babilonia e, soprattutto, l'antico Egitto stimolarono la fantasia di sceneggiatori e registi.
Gli ultimi giorni di Pompei, tratto dal romanzo di George Bulwe-Lytton, ebbe numerose versioni cinematografiche, non meno di una dozzina, in Italia e negli Stati Uniti, come del resto accadde con Ben Hur, Quo Vadis? e Spartacus. La più interessante è probabilmente quella girata con grandi mezzi in Italia nel 1925, un vero e proprio colossal soprattutto se ci si rapporta ai tempi. Il testo Quo Vadis?, di Henryk Sienkiewitz, era stato portato sullo schermo l'anno precedente, addirittura con le scenografie di Armando Brasini, l'architetto del Ponte Flaminio e di tanti altri monumenti antichizzanti di Roma.

L'era degli studios


Dopo l'interruzione della guerra venne il successo di Sansone e Dalila, diretto nel 1949 dal grande Cecil B. DeMille. Da lì nacque la fortunatissima serie dei film e di remake americani degli Cinquanta e dell'inizio dei Sessanta: spiccano tra tutti il Giulio Cesare di Joseph Mankiewicz, tratto da Shakespeare, con la memorabile interpretazione di Marlon Brando nelle vesti di Antonio; la nuova versione di Quo Vadis?, del 1951, con un giovane Sergio Leone come aiuto regista e l'indimenticabile Nerone di Peter Ustinov; quella di Ben Hur, del 1959, diretta da William Wyler con la collaborazione, tra gli altri, di Mario Soldati e l'interpretazione di Charlton Heston, pellicola premiata con 11 Oscar; il superbo Spartacus di Stanley Kubrick, del 1960, centrato sulla figura di Kirk Douglas nella parte dello schiavo trace che si ribellò a Roma. Nacquero anche i colossal biblici, che dovevano non poco all'archeologia del Vicino Oriente: si pensi soltanto a I Dieci Comandamenti, che fu il primo di una lunga serie. 
Sulla scia dei successi americani, in Italia, tra Tirrenia e Cinecittà si produssero negli stessi anni centinaia di cosiddetti "pepla", come venivano chiamati: cos come c'erano i film di cappa e spada, s'inventarono i film di peplo e spada! Purtroppo il livello era in genere assai basso, e più godibili sono le parodie comiche del genere, talvolta interpretate dal geniale Totò. 



Negli Stati Uniti la moda passò soltanto a causa di un disastro economico: la celebre produzione di Cleopatra, con Elizabeth Taylor (e certo Cleopatra non fu mai tanto bella!), costò la bellezza di 45 milioni di dollari - siamo nel 1963 - e si riveò un fiasco clamoroso; la casa di produzione, la Twentieth Century Fox. rischiò addirittura il fallimento. Così, per timore di ulteriori fiaschi, si interruppe bruscamente la tradizione hollywoodiana, mentre continuava quella sulle rive del Tevere: sempre più limitata alle produzioni televisive, sia pure di un certo impegno. Tra l'altro, le produzioni televisive dettero maggiore spazio all'antichità greca, in particolare con le avventure dell'Odissea, e al mondo biblico, con infinite ripetizioni delle storie evangeliche.
Si ebbero, del resto, anche produzioni di qualità: ad esempio il Satyricon di Fellini, del 1968-69, ispirato al celebre romanzo di Petronio Arbitro - in cui va in scena la "felliniana" cena organizzata dal nuovo ricco Trimalcione - oppure Il Vangelo secondo Matteo e Le Mille e una Notte di Pasolini, quest'ultimo girato sui bellissimi sfondi delle architetture yemenite, allora poco note. In queste produzioni c'è una sostanziale ricerca di un'alternativa alle fanfare e ai lustrini di Hollywood, fino nella scelta di musiche e costumi etnici, quasi a creare un'antichità del pensiero il più possibile distinta dalla realtà odierna.

Da Indiana a Gladiator


Ma le avventure dell'antichità in pellicola non erano ancora finite: a distanza di decenni dal fiasco di Cleopatra, Hollywood si è nuovamente gettata nelle avventure dell'archeologia. L'inizio di questa nuova fioritura va ricercato nella saga di Indiana Jones, simpatico ma improbabile archeologo cacciatore di tesori, alle prese con un Antico suggestivo, anche se irreale. La sola idea che gli obiettivi di un archeologo possano essere l'Arca dell'Alleanza o il Santo Graal non può che nascere in un ambiente imbevuto di religiosità confusa. Come altrettanto confusa risulta l'illustrazione dei modi di lavoro di un archeologo.
Più di recente il mondo del cinema, appena riavutosi dall'ubriacatura di Titanic, è stato travolto da Gladiator. Pareva impossibile che Hollywood, alle soglie del XXI secolo, potesse essere in grado di togliere quella patina di mufa e polvere dal genere dei "pepla"; ma bisogna dare atto al regista Ridley Scott di aver reso la storia avvincente e vicina al gusto del pubblico odierno.
Colpisce il fatto che già negli anni Cinquanta il grande semiologo Roland Barthes, prendendo ad esempio il Giulio Cesare di Mankiewicz, rilevasse quanto di mistificatorio ci fosse nei film ambientati nell'antichità. Ma ormai non c'è più neanche il filtro dell'interpretazione shakespeariana dell'antichità, un tempo inevitabile nel mondo anglosassone. I personaggi pensano e agiscono emotivamente con criteri moderni, seguendo pedissequamente l'elementare catalogo dei comportamenti leciti e dei buoni sentiment che vale nell'America di oggi, o almeno nel suo universo di celluloide. Nessuno pretende che si possa ricostruire uno scenario di duemila anni fa con esattezza filologica ineccepibile, ma neppure è accettabile che del mondo antico si dia un'idea così pesantemente falsata. Gladiator, per esempio, pur essemdo un film riuscito, aleggia in un passato indefinito e indistinto, sospeso tra antichità e medioevo.
Attendiamo a questo punto la versione cinematografica dei nuovi romanzi storici, dal Ramses di Christian Jacq all'Alessandro Magno di Valerio Massimo Manfredi.
Resta da esaminare un altro genere: il documentario archeologico. Sempre più seguiti, grazie a fortunate trasmissioni televisive di divulgazione scientifica che li programmano con regolarità, queste produzioni sono purtroppo schiave dell'audience: in esse va comunque e sempre inserito un alone di mistero, anche quando non ve ne sarebbe traccia negli scenari descritti. Anche qui vien fatto di chiedersi se non sarebbe possibile una maggiore aderenza ai fatti, e asupicabile uma maggiore fantasia nella scelta dei temi; anche se rispetto a tempi non lontani, in cui tali documentari fantasticavano tutt'al più di Atlantide, qualche passo in avanti è stato fatto, grazie anche al supporto informatico che oggi permette ricostruzioni del reale altrettanto suggestive quanto gli scenari del mistero.
Che cosa si produrrà nei prossimi anni è difficile dire: certo è che il mezzo dell'immagine televisiva e cinematrografica sarà ancora a lungo usato; c'è da sperare che la ricerca di spettacolarità e la caccia all'audience non facciano definitivamente piazza pulita di ogni rigore scientifico.

Tratto da: Divi del grande schermo in "I segreti dell'Archeologia", Enciclopedia diretta da G. M. Della Fina, De Agostini 2001