giovedì 8 marzo 2012

L'Archeologia femminista

di Caterina Pisu




Non molti conoscono l'esistenza dell'Archeologia femminista. Si tratta di una branca della archeologia teorica che critica le posizioni spesso androcentriche dell'archeologia tradizionale, cercando di ricostruire il reale ruolo delle donne nelle società preistoriche e arcaiche, evitando le influenze degli stereotipi, delle distorsioni e dei pregiudizi moderni. Questo tipo di studi nasce circa trent'anni fa, sul solco dell'archeologia processuale e in corrispondenza con lo sviluppo del movimento femminista degli anni '70. Non tutti accettano la definizione "femminista" data a questa branca di studi archeologici, proprio per timore che si accolgano posizioni politiche e ideologiche nell'ambito della disciplina archeologica. Le più note esponenti dell'archeologia femminista sono Janet Spector (1944-2011, USA), Ruth Tringham (1940, England), Margaret W. Conkey (1943, USA) e Joan Gero (19?, USA), solo per citarne alcune. In Italia non sono nettamente presenti teorie femministe in ambito archeologico; non esiste, cioè, una branca specifica della disciplina, ma ricerche sul ruolo della donna nelle società preistoriche ed arcaiche sono sempre state condotte nell'ambito dell'archeologia tradizionale o della New Archaeology, che pure ha inciso relativamente nel nostro Paese. Anna Maria Bietti Sestieri è forse una delle poche archeologhe che ha indirizzato i suoi studi anche su questi temi, sebbene non esclusivamente sul ruolo femminile nelle società preistoriche, ma considerando anche questo aspetto in un quadro di ricerca più generale di tipo socio-etno-antropologico. Famosi sono i suoi studi sulla necropoli protostorica laziale di Osteria dell'Osa.

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