mercoledì 19 settembre 2012

Archeologia e letteratura: i libri gialli

Questo post è tratto dal capitolo "Il detective e l'archeologo" dell'Enciclopedia "I segreti dell'Archeologia", a cura di G. M. Della Fina, De Agostini 2001, pp. 196-197

 

Quando C. W. Ceram, nel suo "romanzo dell'archeologia" Civiltà sepolte, paragonava il lavoro dell'archeologo a quello della polizia scientifica, il genere letterario del giallo si era già da tempo appropriato dei metodi dell'archeologia, con la conseguenza che confrontare le indagini di uno studioso dell'antichità con quelle di un investigatore privato era divenuto già quasi un luogo comune.
L'archeologo e il detective si trovano davanti a un fatto ignoto e cercano, in base alle tracce, di ricostruire il passato: l'uno magari di duemila anni fa, l'altro solo di due giorni prima.
Uno dei primi scrittori a prendere spunto dall'archeologia per le ricerche criminologiche del suo detective fu l'inglese Wilkie Collins, che nel giallo The Law and the Lady del 1875 fece scervellare a lungo l'investigatore finché questi non si ricordò degli scavi di Pompei: per trovare una lettera compromettente, il protagonista si ispirò agli scavi sistematici effettuati nelle fosse dei rifiuti della città vesuviana, che avevano portato alla luce materiali importanti per la ricostruzione della vita quotidiana, ed ecco che il pezzo mancante per risolvere il caso si trovò proprio nella spazzatura domestica dell'incriminato.
L'allusione all'archeologia non poteva essere più chiara, ma non era neanche necessario, come mostrano gli altri romanzi di Collins e dei suoi contemporanei: ciò che contava, e quello che fa di Wilkie Collins uno dei più grandi rappresentanti della giallistica, era innanzitutto il metodo, la ricerca sistematica, l'analisi puntuale di tutti i dettagli, anche di quelli più insignificanti, i quali, una volta messi insieme, conducevano alla soluzione.
Anche i più grandi detective di tutti i tempi - Sherlock Holmes, Hercule Poirot - hanno spesso contatti con il mondo dell'archeologia. Nel Mastino dei Baskerville, Arthur Conan Doyle immagina nel paesaggio intorno a Baskerville Hall un antico villaggio preistorico aumentando il presunto mistero soprannaturale che circonda il luogo e che solo Sherlock Holmes, con le sue deduzioni razionali, risulta in grado di comprendere: "Erano le abitazioni dei nostri rispettabili antenati. La brughiera era densamente abitata dall'uomo preistorico e poiché d'allora nessuno si è stabilito qui, troviamo ogni particolare intatto, esattamente come allora. (...) Quando era abitata? - Neolitico, senza una data precisa". 
 
Nell'occasione, Doyle descrisse anche un altro personaggio, il dottor Mortimer, che nel tempo libero aveva "scavato in un vecchio tumulo a Long Down e portato alla luce con grande gioia un teschio preistorico"; un archeologo dilettante, dunque, che nel romanzo ha il ruolo importante di convincere Holmes a occuparsi dello straordinario caso. Lo stesso Watson rimase impressionato dal passatempo del medico: - "Non ho mai visto un uomo così sinceramente entusiasta come lui!".
Le affinità tra il lavoro dell'archeologo e del detective erano, dunque, piuttosto chiare e venivano sfruttate spesso, con allusioni più o meno dirette, dagli scrittori. Ma furono pochissimi i tentativi, nei gialli, di affidare il ruolo di protagonisti a veri e propri archeologi. La ragione va forse cercata nella complessità del lavoro archeologico, che presuppone conoscenze troppo dettagliate e specializzate per creare una trama avvincente. Gli esempi di questo tipo, infatti, non convincono quasi mai perché lo scrittore trascura le tecniche archeologiche per mancanza di competenze - come nel caso del detective-archeologo Martin Cotterell di John Trench - o perché non è all'altezza di una trama appassionante, come nei gialli dell'archeologo Dilwyn Rees.

La signora del crimine

Non a caso l'unica unione felice si trova ancora oggi nei libri di Agatha Christie. Già prima di sposare l'archeologo Max Mallowan, la Christie era rimasta profondamente suggestionata dalle notizie sensazionali provenienti dalle scienze dell'antichità e non tardò a rielaborarle nei suoi affascinanti libri.
Picture
Agatha Christie con il marito Max Mallowan, autorevole archeologo britannico

Nel 1924, la scrittrice pubblicò il racconto "L'avventura della tomba egiziana", che trae spunto dalla spettacolare apertura della tomba di Tutankhamon avvenuta nel febbraio del 1923 e dalla misteriosa morte del suo scopritore, Lord Carnarvon, avvenuta nell'aprile dello stesso anno. In seguito, la Christie affidò alla penna le esperienze vissute nel Vicino Oriente e, soprattutto, negli emozionanti scavi diretti da suo marito e a cui lei stessa prese parte: i suoi libri traggono ancor oggi il loro maggior fascino da questo mondo avventuroso, decisamente fuori dal comune. Spesso compare anche un archeologo - in Murder in Mesopotamia (Non c'è più scampo) del 1936 la trama ruota tutta attorno a uno scavo archeologico - ma per la scrittrice è sempre un outsider, né elegante né distinto d'aspetto, si comporta in maniera piuttosto rozza, cosa che scandalizzerebbe il mondo borghese e conformista se non ci fosse il prestigio e l'approvazione sociale di cui gode grazie ai suoi studi. Indicativa in proposito è la descrizione del bagaglio di Richard Baker in viaggio verso gli scavi dell'antica città di Murik, ne Il mondo è in pericolo, che viene descritto nella seguente maniera: "Consisteva quasi interamente di libri. Pigiama e camicie erano stati buttati alla rinfusa tra di essi, quasi come per un ripensamento". Egli, d'altronde, "di rado s'interessava ai rappresentanti della specie umana. Un coccio facente parte di un vaso antico lo eccitava assai più di un semplice essere umano nato nel corso del ventesimo secolo dopo Cristo".
Allo stesso modo, in Death on the Nile (Poirot sul Nilo), la Christie introduceva "Guido Richetti, l'archeologo, uomo piuttosto grassoccio", il quale non tollerava che si parlasse male delle antichità e in un'occasione "proruppe in un'appassionata e non sempre conprensibile difesa delle pietre".
Durante una gita turistica a Karnak, "l'archeologo Richetti, sdegnando le spiegazioni dell'interprete, esaminava i bassorilievi ai piedi delle enormi statue", mentre Hercule Poirot con il resto del gruppo ammirava il grande tempio costruito da Ramesse, dove "i quattro colossi rappresentanti lo stesso ramesse guardavano dall'alto della loro statura il gruppetto di minuscoli curiosi". Il famoso detective non si lasciò comunque ingannare dall'apparenza e ben presto svelò la vera identità dell'impostore che era, in verità, un ricercato terrorista: "Mi è sempre parso che ci fosse qualcosa di poco chiaro, in lui. Era troppo perfetto, nella sua parte, troppo archeologo e troppo poco uomo".
Come si è già accennato, Agatha Christie conosceva veramente bene il mondo degli archeologi attraverso il marito, un autorevole studioso consapevole dell'importanza dello scavo stratigrafico per la ricostruzione della vita quotidiana delle civiltà antiche. La Christie aveva conosciuto il futuro marito proprio durante una visita a uno scavo archeologico, e dopo il matrimonio cominciò ad interessarsi in modo serio all'archeologia, partecipando attivamente alle spedizioni.
Agatha Christie in visita agli scavi di Nippur, Iraq

Quasi autobiografico è il passo tratto da Il mondo è in pericolo, nel quale la protagonista arriva per caso su uno scavo e viene scambiata per la giovane antropologa attesa: "Le ceste di frammenti di vasi in un primo momento l'avevano fatta ridere (sebbene si fosse ben guardata dal darlo a vedere). Tutti quei pezzetti di scabra terracotta (...) a cosa mai servivano! Poi, quando cominciò a ricongiungerli e a sistemarli in cassette piene di sabbia, il suo interesse si risvegliò. Imparò a riconoscere le forme e persino le epoche. E infine cominciò a ricostruire nella sua mente l'uso a cui erano stati adibiti quei recipienti circa tremila anni prima. Nella piccola zona in cui erano stati trovati i resti di abitazioni private di livello modesto, Victoria si figurò le case nella loro forma originaria, e le persone che in esse avevano abitato, i loro bisogni, gli oggetti di cui disponevano e le loro occupazioni, le loro speranze e i loro timori. E grazie alla sua fervida immaginazione, la sua mente si popolava facilmente di immagini. Un giorno in cui venne ritrovato, al'interno di un muro, un piccolo vaso di terracotta pieni di orecchini d'oro, Victoria rimase incantata". E come l'eroina Victoria, anche Agatha Christie divenne archeologa; davanti ai suoi occhi il passato risorse ed ella si adattò alla realtà quotidiana dello studioso, notando con stupore: "Vede, io avevo sempre pensato che l'archeologia riguardasse solo tombe di re e palazzi". E questa verità comunicò a noi lettori, in una maniera divertente e affascinante.

Nessun commento:

Posta un commento