martedì 4 settembre 2012

Intervista a Sabatino Moscati; archeologia e tecnologie digitali

 


Riporto qui un'intervista a Sabatino Moscati del 22 aprile 1996, pubblicata nella Biblioteca digitale del sito MediaMente.it (Rai Educational).

Archeologo esperto della cultura punica e fenice, Sabatino Moscati è stato un divulgatore della nuova conoscenza al grande pubblico. Nato a Roma nel 1923, Moscati scoperse la città punica di Monte Sirai in Sardegna, oltre che una serie di fortezze dell'epoca punica in Tunisia, in Sicilia ed in altre regioni del bacino mediterraneo. Prima dell'impegno di Moscati la conoscenza della civilizzazione punica del secondo e terzo secolo avanti Cristo era in gran parte messa in ombra dalle opere sulla civilizzazione romana ed etrusca.
Membro e poi presidente della prestigiosa Accademia dei Lincei, Moscati era un convinto sostenitore della divulgazione della scienza. Nel 1985 fondò Archeo, mensile mirato alla facile comprensione dell'archeologia, per il quale scriveva regolarmente l'editoriale. Ha pubblicato una serie di articoli nel Corriere della Sera. Sabatino Moscati è morto a Roma l'otto settembre 1997 all'età di 74 anni. 





Non è impressionante poter ricostruire il volto di uomini del passato attraverso le tecnologie digitali?

Sì, è impressionante rivedere il volto degli uomini del passato. Ma quel che più importa è l'esattezza della ricostruzione. In realtà il principio su cui si basa questa ricostruzione è abbastanza semplice, nel senso che esiste una corrispondenza, medicalmente provata, tra le parti dure e le parti molli del viso. Sicché, se si ha un cranio ben conservato, è possibile ricostruire quanto rimane del volto. Naturalmente l'interesse di questa ricostruzione concerne soprattutto i personaggi celebri. Così è stato, per esempio, nel caso di Filippo II di Macedonia, di cui si è trovata la tomba in Grecia: in essa è stato trovata una salma che, senza ombra di dubbio, è lui. Con questo metodo si è ricostruito il volto e questo viso è risultato identico sia alle raffigurazioni che abbiamo di lui, soprattutto nelle monete, sia ai racconti degli antichi storici. E' stato possibile anche riscontrare la veridicità della notizia, tramandataci dagli storici antichi, di una cicatrice sul viso a seguito di un colpo di arma da taglio: questa cicatrice, che aveva inciso sull'osso, è riemersa nella ricostruzione.
E' molto diffusa anche la ricostruzione di ambienti architettonici e di siti archeologici. Per quanto riguarda quest'ultimo aspetto, in che cosa ci può aiutare la realtà virtuale?
 
La ricostruzione virtuale dei monumenti ha naturalmente funzione di conoscenza, ma soprattutto didattica. Il monumento ricostruito virtualmente, infatti, può essere studiato nella sua totalità anche se è conservato nella sua parzialità. Naturalmente la ricostruzione è subordinata a quanto se ne conserva. Non è possibile restituire virtualmente l'integrità di tutti i monumenti. Anche qui la precisione è totale, perché esistono delle corrispondenze tecniche tra le parti conservate e le parti decadute o scomparse e anche qui esistono le narrazioni degli antichi storici o delle fonti letterarie. Tuttavia va sottolineato il fatto che manca una componente fondamentale, cioè l'uomo che si muove negli ambienti.
Quindi Lei concorda con le tesi di Gardin, l'archeologo francese, che ha delineato un'epistemologia generale dell'informatica umanistica, ritenendo possibile costituire una nuova epistemologia intorno all'archeologia?
 
Gardin è un vero e proprio genio dell'informatica e, soprattutto, è l'unico che l'abbia applicata, con metodi avanzatissimi e con esperienze dirette sul campo, all'archeologia. In sintesi, si può dire che l'avvento dell'informatica costituisce il passaggio dalla approssimazione all'esattezza. Questa è la grande novità dell'informatica. Noi ricostruivamo i monumenti del passato, i reperti, gli oggetti, gli ambienti, sempre con qualche "forse" e qualche "probabilmente". Oggi abbiamo la possibilità, in tempo reale, di avere dei dati di una precisione straordinaria. Vorrei dire di più: è l'archeologia che cambia. E' nata come scienza storica, come una scienza che esplora il passato per ricostruirne la vita, le vicende; ora è diventata una scienza di frontiera, a metà strada tra l'umanesimo e la tecnologia, con i metodi delle scienze esatte. L'immagine dell'archeologo che scavava da solo, che andava avventurosamente sui luoghi appartiene, ormai, ad una visione romantica di questa disciplina. Oggi il lavoro è svolto da "équipe" tecniche, in cui sono presenti le varie specializzazioni. Non credo che esista una scienza di frontiera, al convergere dell'umanesimo e della tecnologia, come è attualmente quella archeologica. L'informatica, comunque, rappresenta un grande salto di qualità in ogni campo della ricerca scientifica.
Lei ritiene che tutto questo potrà offrire nuove opportunità di lavoro agli archeologi o, comunque, a chi lavora nel campo della ricerca umanistica?
 
Dovrebbe offrirle. Naturalmente il problema dell'opportunità di lavoro, è un problema più vasto e dipende dai Paesi, dalla loro condizione, dalle loro prospettive. Sicuramente si tratta di una scienza nuova; la varietà delle sue implicazioni, la complessità, l'originalità possono effettivamente rappresentare dei nuovi sbocchi professionali e di specializzazione. In alcuni Paesi ci sono più mezzi. In Italia, negli ultimi tempi, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, mantenendo fede alla sua stessa natura, ha avviato, avvia e sostiene, una serie di imprese dalle varie componenti umanistiche e scientifiche: tra queste c'è anche l'archeologia.
Qual è, in sostanza, la Sua opinione su questa nuova, inedita alleanza tra cultura scientifica e tecnologica e cultura umanistica, soprattutto nel campo dell'informatica, dove è sempre più evidente questa convergenza?
 
Anzi tutto vorrei dire che l'informatica rappresenta e determina in modo del tutto naturale e ovvio questa convergenza, dal momento che l'informatica è un metodo di approccio alla ricerca applicabile a tutte le discipline. Nello specifico, la convergenza tra umanesimo e tecnologia è un segno del nostro tempo. L'Accademia dei Lincei ne è un'antesignana, come è dimostrabile attraverso una serie di iniziative sempre più congiunte tra le due classi dell'Accademia. E così sarà la scienza del futuro: sempre più interrelata di pari passo con l'aumento delle specializzazioni; in altre parole, convergeranno sempre più le prospettive, le metodologie. In realtà umanesimo e tecnologia sono due facce di una realtà unica, ossia la ricerca scientifica.
Lei pensa anche che una rete come Internet possa giovare alla diffusione della conoscenza e non essere soltanto un circuito di mero intrattenimento? Per quanto riguarda l'archeologia, secondo Lei Internet può rappresentare un veicolo in più a disposizione soprattutto dei giovani ricercatori che, in genere, trovano difficoltà nel reperire spazio sulle riviste specializzate?
 
Innanzi tutto, ritengo che, probabilmente, la società non si è ancora resa conto di questa rivoluzione che si sta svolgendo sotto i propri occhi: informare significa conoscere, vale a dire ottenere in tempo reale quelle informazioni che, fino a poco tempo fa, si chiedevano per lettera e arrivavano limitate e imperfette. Siamo in un momento di snodo, di svolta, della ricerca scientifica, perché le tecnologie ci hanno sopravanzato e le stiamo inseguendo per ricostituire un equilibrio. In effetti la comunicazione del sapere e dei risultati della ricerca sta assumendo un ritmo talmente vertiginoso che, torno a dire, ancora non ci rendiamo conto di questo, ma è un momento di trasformazione profonda verso un futuro che sarà, senza dubbio, diverso e migliore. Resta il problema dell'utilizzo delle forze umane e della sistemazione dei mezzi per vivere di coloro che partecipano alla ricerca, un problema grave, particolarmente nel nostro Paese.

Nessun commento:

Posta un commento