mercoledì 23 novembre 2011

Come gli archeologi raccontano la loro vita

An Hour in the Life of an Archaeologist

By K. Kris Hirst, About.com Guide


Scott MacEachern is Professor of Anthropology in the Department of Sociology and Anthropology at Bowdoin College, specializing in African archaeology and ethnoarchaeology; his research involves the study of state formation and ethnicity in Iron Age Central Africa. In this article, he describes an hour of his life working at the African Iron Age site of Aissa Dugjé, Cameroon

Aissa Dugjé, Cameroon 11.00 am, July 7, 1996

Copyright 2000: Scott MacEachern


The first thing you notice is that it's hot. We've been at work since 6.30 am, but the coolness of the early morning has burned off and it's about 105 Fahrenheit already, and hotter in the pits.
There are clouds around and it's raining near the Mandara Mountains to the west, but it doesn't look as if it will rain here. That's just as well; we have about two hours until we end excavation for the day. Aissa Dugjé is a big site, occupied between about 1700 and 800 years ago and nestled between two small inselbergs out in the flatness of the Mora Plain. The most striking features are the 30-plus occupation mounds scattered in its central area, and the crew is excavating three units on and around those mounds today, with 23 people at work. As director of this circus, I often have to spend my time in administration, but things are going well today, we're all working on one site, and so I get to excavate for a while.
Most of the actual digging is being done by local men, hired from the neighbouring village of Aissa Hardé and digging with trowels and the short hoes that they use in the fields. After two seasons, they are experienced, careful excavators. Hiring them means that the people of Aissa Hardé know what we are doing at all times, which makes them - and us - feel better. The archaeologists and students, from North America and Cameroon, are in charge of general excavation strategy, keeping notes and records, survey work on the site and excavation of especially delicate objects and the burials that we often find.

In the Bottom of a Pit

Running this three-metre by two-metre unit is an exercise in constant motion. The pit is two metres deep, and I seem to spend all of my time climbing in and out of it. Down at the bottom, on the ancient house floor now being uncovered, I write notes about the artefacts and features that are exposed, measure artefact positions and draw sketch maps, take photographs and talk to Adama and Mahamat Salé about their impressions of what they are finding. When I get a chance, I grab a trowel and brush and join in, but that tends to disrupt the rhythm of the work. I try to restrain myself. As dirt is slowly stripped off the floor, it is passed to the surface in buckets - a back-breaking job, up a two-metre wall - and screened for very small artefacts. There is usually a student at work up top with the screeners, responsible for making sure that everything goes into properly labeled bags. That student is helping with a burial in a nearby pit today, though, and so I scramble up top every five minutes or so, to check on the screening myself. It gets me out of the clouds of dust that hang in the close, hot air of the pit, at least for a minute.
When I climb back down, it takes my eyes a minute to adjust from the brightness of an African morning. Drop back into a squat in the shadows beside the diggers. There are broken potsherds, bits of animal bone and fragments of iron slag all over the ancient floor surface, probably from use of the building as a garbage dump after it was abandoned. The dirt is loose, and permeated with discarded ash as well; changes in the soil that might indicate wall remains or old pits are hard to see. We spend the morning working through a 10cm level over part of the unit, a slower tempo than usual. Change film, try to keep the camera and notebooks clean, make sure there are enough bags labeled, keep writing. Noon now, and I'm up on top again. Excavation of the burial is going well, but there are clouds moving in from the north that I have to keep an eye on. Back down into the pit, and we keep going. 

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Scott MacEachern è professore di Antropologia presso il Dipartimento di Sociologia e Antropologia del Bowdoin College; specializzato in Archeologia africana ed Etnoarcheologia, la sua ricerca riguarda lo studio della formazione dello stato e delle etnicità, durante l'età del ferro, in Africa centrale. In questo articolo, egli descrive un'ora della sua vita lavorativa presso il sito dell'età del ferrodi Aissa Dugjé, in Camerun

Aissa Dugjé, Cameroon 11.00 am, July 7, 1996

Copyright 2000: Scott MacEachern

La prima cosa che si nota è che fa caldo. Stiamo lavorando già dalle 6.30 del mattino, ma ormai il fresco delle prime ore si è trasformato in calore a più di 40° e fa ancora più caldo nei box.
Intorno a questa zona è nuvoloso e piove nei pressi dei Monti Mandara a ovest, ma forse non pioverà qui. Abbiamo circa due ore per finire lo scavo di oggi. Aissa Dugjé è un grande sito, abitato all'incirca tra 1700 e 800 anni fa, annidato tra due piccole alture che si delineano nella piattezza della pianura Mora. La caratteristica più sorprendente sono i più di 30 tumuli sparsi nella sua zona centrale e la squadra sta scavando ora tre unità sopra e intorno a quei cumuli, con 23 persone al lavoro. Come direttore di questo "circo", spesso devo passare il mio tempo in amministrazione, ma le cose stanno andando bene oggi, stiamo tutti lavorando su un sito, e così io posso anche scavare un po'.
La maggior parte dello scavo attualmente è eseguito da uomini del posto, assunti dal vicino villaggio di Aissa Harde; scavano con cazzuole e con zappe corte, le stesse che usano nei campi. Dopo due stagioni, sono diventati esperti e attenti scavatori. Assumerli significa che la gente di Aissa Harde sa quello che stiamo facendo in ogni momento, e ciò fa sentire meglio sia noi che loro. Gli archeologi e gli studenti, provenienti dal Nord America e dal Camerun, sono responsabili della strategia generale dello scavo, della conservazione e della documentazione, del lavoro di indagine sul sito e dello scavo di oggetti particolarmente delicati e delle sepolture, che troviamo spesso.

Nel fondo di una buca

Lo scavo di una unità di tre metri per due è un esercizio continuo. La fossa si trova a due metri di profondità, e mi sembra di impiegare tutto il mio tempo per arrampicarmi dentro e fuori di essa. Giù in basso, al livello dell'abitazione antica rinvenuta, scrivo alcune note sui manufatti e le loro caratteristiche, misuro i manufatti e ne disegno gli schizzi, scatto fotografie e parlo con Adama e Mahamat Salé per avere le loro impressioni su quello che stiamo facendo. Quando ne ho la possibilità, prendo una spatola e un pennello per partecipare allo scavo, ma poichè questo tende a disturbare il ritmo del lavoro, cerco di trattenermi. Il pavimento viene liberato dalla terra che viene asportata fuori dalla fossa nei secchi,  un lavoro massacrante su un muro di due metri - e poi la terra deve essere esaminata per constatare anche la presenza di manufatti molto piccoli. Di solito c'è uno studente al lavoro sulla parte superiore della fossa che utilizza i vagli, a questo scopo, per filtrare la terra, e che ha la responsabilità di accertarsi che tutto venga sistemato in sacchi adeguatamente etichettati. Poiché oggi quello studente sta aiutando allo scavo di una sepoltura in una fossa vicina, tocca a me arrampicarmi sulle pareti della fossa ogni cinque minuti circa per eseguire da me la setacciatura della terra. Esco dalle nuvole di polvere che permangono in sospensione nell'aria calda della fossa almeno per un minuto.
Quando risalgo in superficie dal fondo della fossa, devo aspettare almeno un minuto prima che i miei occhi si abituino alla luminosità di un mattino africano. Mi accoccolo di nuovo nell'ombra, accanto ai cercatori. Ci sono cocci rotti, pezzi di ossa di animali e frammenti di scorie di ferro su tutta la superficie del pavimento antico, probabilmente per via dell'uso dell'edificio come una discarica dopo che è stato abbandonato. Lo sporco viene ripulito come meglio possibile; i cambiamenti nel terreno che potrebbero indicare resti di muri o di vecchi pozzi sono difficili da vedere. Passiamo la mattinata lavorando a un livello di 10 centimetri di una parte dell'unità, a un ritmo più lento del solito. Cambio pellicola, cercando di mantenere la fotocamera e i notebooks puliti, assicurandomi che i sacchi siano etichettati e continuando a scrivere. E' mezzogiorno ora, e io sono in cima di nuovo. Lo scavo della sepoltura sta andando bene, ma ci sono nuvole che si muovono da nord che devo tenere d'occhio. D nuovo giù nella fossa e andiamo avanti.

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