sabato 18 febbraio 2012

Le differenze superano di gran lunga le somiglianze tra Archeologia cinematografica e Archeologia reale

Riportiamo qui il testo di una pagina del sito web del National Science Foundation che fa una presentazione di alcune delle principali ricerche archeologiche finanziate dalla fondazione in modo assolutamente originale, cioè approfondendo, nel contempo, la differenza tra l’archeologia della finzione cinematografica e l’archeologia reale. Un’occasione per trattare ancora di archeologia popolare.

"You and I are very much alike...
I am but a shadowy reflection of you"
Raiders of the Lost Arch





Differences Far Outweigh the Similarities between "Reel" and Real Archaeology

A differenza di Indiana Jones, nel kit da campo degli archeologi veri probabilmente non si toverà neppure un fedora e di certo i loro finanziamenti non coprono i costi di revolver Webley o di fruste, ma si potrebbe dire in modo convincente che comunque, per alcuni aspetti, gli archeologi sono un riflesso della loro controparte del grande schermo.
Nessuno, naturalmente, si aspetterà che il mondo di celluloide dell'immaginario Indiana Jones, eroe di quattro racconti di avventura e, quasi incidentalmente, di archeologia, abbia una qualsiasi somiglianza con il mondo reale della scienza, nemmeno i suoi creatori, i registi Steven Spielberg e George Lucas.
Quello che essi speravano di fare nei film di Indiana Jones era ricreare sul grande schermo l'emozione dei periodici di avventura che li avevano divertiti nella loro gioventù.
Per ammissione degli stessi archeologi, però, esistono dei parallelismi con il loro lavoro.
Come illustrato in queste pagine, il National Science Foundation supporta archeologi come "Rip" Rapp, Dixie West e i loro colleghi non per scoprire una "città perduta", ma per cercare di capire che cosa è successo alla "civiltà scomparsa", che cosa ne ha causato il crollo e se ciò possa avere rilevanza nei problemi contemporanei; essi ricercano manufatti rari e preziosi che raccontano storie importanti sul passato, anche se tali artefatti sono frammenti di unghie e raschiature di denti antichi e non idoli d'oro. Essi collaborano con i popoli nativi con rispetto, considerandoli come partner nel processo di apprendimento del passato, piuttosto che combatterli con le armi come nei film. E certamente, come è stato scherzosamente osservato nell'ultima avventura di Indiana Jones, l'insegnamento è una parte importante di quello che fanno.
E tutto questo lo fanno mentre affrontano alcune delle sfide familiari ai fan dei film.
"Trovo quasi incomprensibile che qualcuno possa fare cose del genere", dice Matt Sponheimer, dell'Università del Colorado a Boulder che studia le migrazioni degli ominidi in Africa. "Dobbiamo viaggiare costantemente, di tanto in tanto abbiamo a che fare con malattie e serpenti velenosi, e la gente ci spara anche di tanto in tanto."
Ma le differenze con questi archeologi che lavorano in luoghi lontani come le Isole Aleutine, l’Egitto, la Cina e i deserti del sud-ovest, o il più vicino Mississippi, sono più significative e vanno ben oltre l’aspetto esteriore.
Anziché cacciatori di reliquie e avventurieri, essi sono scienziati il cui lavoro è finalizzato a rispondere alle domande fondamentali sul passato, risposte che possono anche suggerire informazioni alla politica sui problemi contemporanei, su come le società possa adattarsi ai cambiamenti climatici, ai cambiamenti ecologici, agli sconvolgimenti politici o alle migrazioni di massa.
Oltre ai finanziamenti federali per l'archeologia riservati al NSF, anche il National Park Service, il National Endowment for the Humanities e la National Oceanic and Atmospheric Administration, tra gli altri, sostengono vari settori della ricerca del NSF su questioni scientifiche generali e di base.
"Ci concentriamo sull’archeologia antropologica", dice John Yellen, direttore del programma NSF per l'archeologia e l’archeometria in campo sociale ed economico e nelle scienze del comportamento. "Stiamo cercando di capire i principi generali di comportamento umano".
Gli scienziati del programma di ricerca di Yellen sono concentrati su problemi come i cambiamenti ambientali e su come questi hanno influenzato le popolazioni umane e, per contro, su come le attività umane possano avere influenzato i loro ambienti. Oppure, aggiunge, "qual è l'interazione tra stati e gruppi diversi all'interno di uno stato e la comprensione di come gli stati si evolvono nel tempo."
Quello di Yellen è uno dei due programmi di archeologia sostenuti dalla Fondazione; l'altro è l’Arctic Social Sciences Program nell’ambito dell’Office of Polar Programs.
Anna Kerttula de Echave, responsabile del programma per le Scienze Sociali Artiche, osserva che il portfolio di archeologia polare è più diversificato rispetto a quello di Yellen. Per esempio, sono state finanziate borse di studio per l'archeologia storica, come la ricerca sul relitto della compagnia russo-americana Kad'yak, in collaborazione con il Dipartimento delle Risorse Naturali dell'Alaska e di altre agenzie federali, come pure un'indagine sui resti di una delle baleniere del disastro del 1.871, quando trentuno baleniere "Yankee" furono schiacciate dal ghiaccio, affondato o bruciate nei pressi di Point Belcher, in Alaska.
Ma, aggiunge, la ricerca archeologica nella regione artica circumpolare si concentra anche sul clima e su altri cambiamenti ambientali come gli tsunami, le alluvioni e le eruzioni vulcaniche nel passato e nel presente, e su come le popolazioni si sono adattate a tali eventi, sulla questione di base di come l'Artico sia stato popolato attraverso varie migrazioni e su come tutti questi fattori hanno interagito per plasmare la realtà umana artica di oggi.
Kerttula de Echave osserva che la ricerca è stata particolarmente significativa nel corso del 2007-2008, cioè durante l’Anno polare internazionale (IPY), con uno sforzo concertato a livello internazionale per le regioni polari per le quali NSF è la principale agenzia degli Stati Uniti, perché l'archeologia americana affonda le sue radici a Barrow, in Alaska, già durante il primo IPY, alla fine del 1800.
Dennis H. O'Rourke, un antropologo biologo presso l'Università di Utah, sarà tra gli scienziati impiegati nel campo nel corso dell’IPY. Lavorerà a fianco di un gruppo di archeologi guidato da Anne Jensen, del Barrow Arctic Science Consortium, per condurre l'analisi del DNA di scheletri di un antica necropoli. La necropoli è stata progressivamente erosa a causa del riscaldamento del clima con il conseguente ritiro del ghiaccio e l’avanzata delle onde marine che hanno dilavato il ghiaccio rimasto protetto per migliaia di anni.
Jensen O'Rourke e il suo progetto mettono in luce molte delle principali differenze tra la scienza e l'archeologia intesa come intrattenimento. I film di Indiana Jones son ambientati in un’epoca che risale a 60/70 anni fa e quindi non poteva riflettere, anche se questo fosse stato il loro obiettivo, le realtà scientifiche o sociali della moderna archeologia.
Usando le tecniche che sono, al massimo, di 25 anni fa, O'Rourke può campionare ed analizzare il DNA degli scheletri della necropoli che possono avere una datazione da poche centinaia a oltre 1200 anni fa, così come gli scheletri che sono conervati nelle collezioni museali. L'analisi tiene in considerazione le informazioni archeologiche provenienti dalle stesse sepolture, rilevate dagli archeologi guidati da Jensen.
"Questo è un esercizio molto collaborativo e integrativo", dice. O'Rourke confronta i risultati delle analisi del DNA con il DNA di persone viventi in North Slope in Alaska, nella speranza di una migliore comprensione di "come e quando la gente si è diffusa nell'Artico".
Egli osserva che a parte il fatto che una tale analisi genetica sarebbe stata impossibile non molto tempo fa, ci sono altri due fattori molto importanti che rendono il progetto unico e la cui impostazione lo distingue dal mondo della finzione.
In primo luogo, il riscaldamento dell'Artico ha costretto la comunità locale a trasferirsi rispetto al luogo della necropoli. "Penso che sia giusto dire che questo ci offre un'opportunità scientifica unica", osserva. E in secondo luogo bisogna dire che mentre inizialmente i nativi sono stati spesso oggetto di indagine dell’archeologia e quindi trattati come tali, questo progetto è stato fatto ora con la piena collaborazione della comunità Barrow. "Senza il sostegno della comunità locale, questo progetto non si sarebbe potuto realizzare", afferma.
Qualunque parallelismo possa esistere tra l’archeologia del grande schermo e la scienza del National Science Foundation, rimane una differenza fondamentale: ciò che O'Rourke e i suoi colleghi impareranno diventerà di proprietà intellettuale di tutta l’umanità.
Non sarà, come avviene nella scena iconica di chiusura de "I predatori dell'arca perduta", un carrello che viene condotto in un vasto magazzino governativo e lì “sepolto” perché non se ne senta più parlare. 


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