Testo tratto dal saggio di Antonio Santangelo, "Sociosemiotica dell'audiovisivo", Aracne, Roma 2013, pp. 144-147
Ogni disciplina che si occupa di media studies ha le proprie tecniche per individuarli e descriverli. La Sociosemiotica si serve a questo scopo di una metodologia specifica, volta a desumerli partendo dall'analisi di un corpus molto ampio di testi. Più precisamente, rimanendo nell'ambito della comunicazione pubblica della scienza per mezzo dei programmi televisivi, il ricercatore sociosemiotico si premura di ricostruire quello che viene definito dagli specialisti come il rapporto tra testo e contesto (R. Grandi, "I mass media tra testo e contesto. Informazione, pubblicità, intrattenimento, consumo sotto analisi", Lupetti, Milano 1992), vale a dire la relazione tra i programmi stessi, i palinsesti in cui essi sono inseriti, l'eventuale offerta di contenuti simili nella programmazione di altri canali, i discorsi che su di essi vengono portati avanti da chi li produce - sotto forma di promo audiovisivi, di comunicati stampa, dei siti web appositamente sviluppati per promuoverli, delle eventuali interviste rilasciate da autori, conduttori e produttori - e, naturalmente, i commenti del pubblico, da quelli dei critici specializzati e degli studiosi, fino alle considerazioni degli spettatori comuni, che spesso si esprimono sui forum su Internet. Nei casi in cui si renda necessario, è inoltre possibile produrre forme di testualità artificiali, realizzate attraverso interviste "qualitative, focus group o tecniche di osservazione etnografica, sempre legate alle figure dei produttori e del pubblico. L'obiettivo, naturalmente, è valutare le somiglianze e le differenze tra tutti questi generi di discorsi, fino ad individuare una serie di regolarità, che costituiscono, per l'appunto, i tratti distintivi dei vari modelli culturali che vi danno origine.
Uno strumento molto utile, per guidare la costruzione del suddetto corpus di testi, è il noto modello della comunicazione di Roman Jakobson ("Saggi di linguistica generale", Feltrinelli, Milano 1966, pp. 181-218). Esso, infatti, evidenzia come il significato di un atto di comunicazione, quindi anche di un programma televisivo, possa essere determinato dal riferimento da parte di quest'ultimo a colui che lo ha prodotto, vale a dire il suo mittente, al suo destinatario, al canale di trasmissione attraversi cui esso viene trasferito, al codice con cui è stato costruito, alla sua stessa struttura interna o al contesto in cui viene scambiato. Quando si comunica, si possono formulare discorsi molto complessi, che parlano ognuno di questi argomenti e le posizioni che si assumono, come sempre accade, sono determinate da modelli culturali, che definiscono un insieme di regole socialmente condivise, a proposito di ciò che si può o che si deve dire dei sei elementi del modello di Jakobson.
Applicando questi ragionamenti al modello della televisione, il ricercatore sociosemiotico sa che per comprendere appieno il senso dei contenuti di un programma, è necessario ricostruire il rapporto di questi ultimi con ognuna delle tematiche appena riportate. Per prima cosa, egli cerca di evincerlo partendo da ciò che dice il programma stesso. Analizza quindi tutti i segni e le strutture discorsive che evidenziano l'immagine che di sé vogliono comunicare il canale televisivo e gli autori, confezionando il loro prodotto in un certo modo. Delinea, quindi, le caratteristiche del tipo di spettatore a cui essi dimostrano di volersi rivolgere (5). Poi cerca di capire che idea di televisione - e del tipo di esperienza mediatica che essa può proporre - venga portata avanti con il programma. Studia quindi la struttura del programma stesso e l'utilizzo che al suo interno viene fatto del linguaggio audiovisivo, dalla costruzione dell'immagine al sonoro, dal montaggio alle tecniche narrative, dalla recitazione (nel caso della fiction) alla conduzione o al coinvolgimento di eventuali ospiti ed esperti (6). Infine, naturalmente, si premura di comprendere ciò che il programma dice, a proposito del tema principale di cui si occupa (7), mettendo in evidenza il modo in cui esso vi fa riferimento, le sue strategie retoriche e argomentative ed, eventualmente, il suo ricorso alla tecnica dell'intertestualità (8).
A questo punto, il ricercatore sociosemiotico è in grado di formulare una serie di ipotesi, a proposito dei modelli culturali che determinano il funzionamento e il significato dei vari discorsi condotti, all'interno del programma televisivo che egli sta analizzando, a proposito del suo mittente, del suo ricevente, della televisione in generale, del suo linguaggio, dei suoi contenuti e di ciò che essi dicono a proposito del mondo circostante. Come anticipato, però, queste ipotesi vanno verificate, attraverso lo studio delle altre forme di testualità "contestuali", a cui abbiamo fatto riferimento sopra. Queste ultime appartengono ai tre ambiti di indagine che, nei television studies, vengono di solito denominati come studi sulla produzione, sull'offerta e sul consumo (F. Casetti e F. Di Chio, "Analisi della televisione", Bompiani, Milano 2001, pp. 7-10), che si rendono necessari per uscire dai confini del testo e poter così generalizzare i risultati delle singole analisi.
[...]
Sulla base dei ragionamenti appena riportati, si evince che lo studio della rappresentazione della scienza in televisione, condotto con i metodi di indagine delle Sociosemiotica, deve incentrarsi sull'analisi di un singolo programma, per poi allargarsi a quella della programmazione del canale che lo trasmette, passando per una riflessione a proposito del brand del canale stesso. E' quindi necessario capire come funzionano i contenuti della scienza dei canali televisivi concorrenti, sia quelli che parlano direttamente di questi temi, sia quelli che lo fanno indirettamente (per esempio trasmettendo film che utilizzano la scienza come espediente spettacolare e narrativo, o pubblicità che mettono in scena scienziati ed esperimenti scientifici, oppure ancora programmi che invitano gli scienziati stessi per parlare dei più svariati argomenti di attualità). Infine è necessario comprendere come i broadcaster e gli spettatori parlano di questi programmi, come li inquadrano e come li interpretano.
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NOTE
[5] La ricostruzione della figura del mittente e del ricevente del modello di Jakobson, quando si svolge l'analisi dei contenuti di un programma televisivo, avviene di solito facendo ricorso agli strumenti delineati da Umberto Eco, per riconoscere le figure dell'autore e del lettore modello di un testo (U. Eco, Lector in fabula. La cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Bompiani, Milano 1979). [...] E' necessario, però, sottolineare come, soprattutto dal lato della ricostruzione dell'identità del ricevente, ma anche, per molti aspetti, per ciò che riguarda il lavoro sulla figura del mittente, un oggetto complesso come un programma televisivo può attivare diverse letture ed essere pensato secondo una logica incentrata su più autori e su più lettori modello.
[6] Per svolgere questo compito, il ricercatore sociosemiotico può servirsi di vari strumenti teorici e metodologici, codificati nell'ambito della cosiddetta semiotica strutturale, che fa capo principalmente alla scuola di Algirdas J. Greimas, i cui studi sono stati trasposti nell'ambito televisivo da vari autori, tra cui M. P. Pozzato in R. Grandi, op. cit. e M. P. Pozzato, "Lo spettatore senza qualità. competenze e modelli di pubblico rappresentati in tv", Nuova Eri, Roma 1995).
[7] Si parla, in questo caso, del topic e del focus principale del programma (T. Van Dijk, Text and context. Explorations in the semantics and pragmatics of discourse, Longman, London 1977. Tr. it. "Testo e contesto. Studi di semantica e pragmatica del discorso, Il Mulino, Bologna 1992).
[8] Il riferimento, più o meno esplicito, ma comunque chiaramente riconoscibile, all'interno del programma, ad un altro testo.
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